Domenica scorsa al Valentino nel percorso del gruppo di giovani coppie “Non c’è due senza Te”
LA COMUNITA’ CRISTIANA “FAMIGLIA DI FAMIGLIE”
Intensa riflessione proposta dal salesiano Don Andrea Bozzolo
CASALE – “La Chiesa è famiglia di famiglie, costantemente arricchita dalla vita di tutte le Chiese domestiche. Pertanto, in virtù del sacramento del matrimonio ogni famiglia diventa a tutti gli effetti un bene per la Chiesa. In questa prospettiva sarà certamente un dono prezioso, per l’oggi della Chiesa, considerare anche la reciprocità tra famiglia e Chiesa: la Chiesa è un bene per la famiglia, la famiglia è un bene per la Chiesa. La custodia del dono sacramentale del Signore coinvolge non solo la singola famiglia, ma la stessa comunità cristiana”.
Davanti ad una platea composta da coppie e famiglie, domenica scorsa Don Andrea Bozzolo, sacerdote salesiano, insegnante di teologia sacramentaria e di teologia sistematica, ha condiviso una interessante riflessione sul tema “Vocazione e missione della famiglia”. Invitato dal gruppo delle giovani coppie “Non c’è due senza Te”, che si ritrova e cammina ormai da un paio di anni nell’ambito della comunità del Valentino, don Andrea, che ha partecipato come esperto al Sinodo sulla famiglia e al Sinodo sui giovani, ha offerto una serie di spunti molto stimolanti relativamente al tema proposto, arricchiti anche dalla sua personale esperienza di accompagnamento di coppie nell’ambito dei suoi incarichi pastorali.
Dopo un’introduzione volta a fornire i fondamenti antropologici, teologici e sacramentali della famiglia, illustrati con immediatezza e semplicità, il sacerdote ha inserito questa prima analisi nel contesto sociale nel quale la famiglia oggi si trova a vivere, profondamente cambiato nel corso degli ultimi decenni e in grado di condizionare pesantemente la vocazione e la missione alle quali la famiglia è naturalmente chiamata.
Ricorrendo all’immagine della vita di una cascina, ossia dell’ambiente in cui viveva un tempo molta della nostra gente, don Andrea ha spiegato come i diversi aspetti dell’esistenza – affetti familiari, vita lavorativa, tradizione culturale, trasmissione della fede, momenti festivi ecc. – fossero un tutt’uno. “La cascina era un piccolo paese e il paese una grande cascina. In quel contesto la struttura familiare costituiva un anello forte della catena, un elemento fondamentale nella trasmissione dell’umano e nella tradizione della fede. Nella società globalizzata di oggi, il ruolo della famiglia è profondamente cambiato. La complessità di sistemi sociali genera molteplici appartenenze, ciascuna delle quali ha un carattere parziale e non totalizzante. Un ragazzo, per esempio, vive in famiglia, con gli amici, a scuola, nella squadra di calcio, sui social media, in parrocchia, all’oratorio e così via. Da ciascuno di questi ambienti riceve messaggi e stimoli che spesso sono contrastanti. I linguaggi, le rappresentazioni, gli stili risultano poco omogenei e danno un’immagine della realtà assai sfocata: come se la realtà fosse un menù di possibilità tra cui scegliere e la scelta potesse essere fatta solo assaggiando un po’ di tutto, ma restando sempre aperti ad assaggiare qualcos’altro. Tale complessità rende più difficile l’unificazione dell’esperienza, e conseguentemente l’azione educativa, la trasmissione della tradizione culturale e la tradizione della fede. In questo sistema la famiglia finisce per avere un’evidente marginalità, che si realizza rispetto al lavoro (emigrato fuori della famiglia), all’educazione (affidata a istituzioni specializzate e a esperti), alla comunicazione (i media provvedono in larga parte a realizzare quelle forme d’iniziazione culturale che un tempo invece erano appannaggio della famiglia)”.
Alla luce di questa situazione, ecco che la comunità cristiana può davvero rappresentare l’elemento unificante di questa molteplicità di “appartenenze”, permettendo alle famiglie di scoprire nella comunità ecclesiale lo spazio vitale entro cui vivere la propria storia, superando la forte tentazione del ripiegamento nel privato cui le espone la nostra cultura. Si tratta dunque di un duplice movimento – la comunità ecclesiale verso la famiglia e la famiglia verso la comunità – che costituisce anche la risposta pastorale più efficace alla dispersione e alla marginalità della famiglia nella società complessa.
“Il processo a cui il Papa ci invita – ha proseguito don Andrea – consiste nella necessità di recuperare un cristianesimo “domestico”, che abiti le nostre case e dia forma ai legami che vi si vivono: l’insistenza di papa Francesco sull’alleanza tra le generazioni, sul tesoro che i nonni possono trasmettere ai nipoti, sulla cura che bisogna avere per i più deboli e i più fragili va appunto in questa direzione. Per questo la Chiesa non può realizzare la propria missione se non coinvolgendo le famiglie; ancor più se non assumendo essa stessa i tratti della comunione familiare. Il secondo versante, speculare al primo, consiste nell’esigenza che la comunità ecclesiale inviti in modo sempre più coraggioso e attraente le famiglie a uscire dall’isolamento verso cui le spinge la cultura individualistica in cui siamo immersi, aiutandole ad aprirsi all’esperienza della condivisione, dell’accoglienza, della comunità. Una famiglia isolata, infatti, è una famiglia indebolita. Se la famiglia cede a questo riflusso nel privato, a pensarsi “per se stessa”, a sognarsi romanticamente come una coppia felice nel proprio benessere, essa è già sconfitta in partenza. La sua vocazione invece è quella di “introdurre nel mondo la fraternità”. Occorre aiutarla a costruire comunità, a interagire con altre famiglie, a essere aperta nei confronti delle sofferenze e dei bisogni degli altri, a promuovere forme concrete di aiuto e di testimonianza nei diversi ambiti della vita sociale. L’amore che circola nella famiglia deve insomma essere messo a servizio di terzi: solo così esso si conserva nella sua freschezza e verità”.